Prevenzione dell’ictus

L’ictus è un deficit neurologico provocato da un difetto della circolazione cerebrale. Il flusso di sangue diretto ad una determinata area del cervello si riduce o si interrompe lasciando le cellule nervose senza ossigeno. Questa situazione di sofferenza determina una perdita (in parte o totale) delle funzioni cellulari.

Possiamo differenziare due tipi di ictus:

  • Ictus ischemico o infarto cerebrale. È il più frequente (85% dei casi) e si verifica in seguito ad un mancato afflusso di sangue a seguito di un restringimento o della chiusura di un’arteria che porta sangue al cervello. Se non si procedere entro pochi minuti all’eliminazione di questa condizione le cellule cerebrali possono subire un danno definitivo.
  • Ictus emorragico. In questo caso si verifica la rottura di un’arteria cerebrale. Questo può succedere in seguito ad un aumento della pressione arteriosa o per la malformazione di una parete (aneurisma).

Valutazione dei danni dell’ictus

La valutazione delle attività compromesse dal danno cerebrovascolare fin dai primi giorni dell’esordio della sintomatologia rappresenta un obiettivo assistenziale importante quanto una corretta diagnosi clinica. Questo infatti consente di organizzare più correttamente il percorso assistenziale, prevenire le complicanze e contenere i fattori che possono ostacolare il recupero intrinseco o compensatorio. Per danno secondario si intende, secondo la Morosini (1979)  il disordine funzionale che colpisce sistemi anche lontani dalle strutture compromesse dalla lesione, in relazione ai disturbi percettivi, all’attivazione di pattern motori patologici o dei processi psicologi di adattamento alle menomazioni conseguenti al danno cerebrovascolare. Il “danno terziario” è invece indotto dalle conseguenze dell’immobilità (decubiti, retrazioni, ecc.) e dalle conseguenze psichiche e comportamentali conseguenti alla situazione disabilitante ed alle difficoltà di comunicazione

Assistenza post ictus

L’assistenza a fini riabilitativi comprende:

Mobilizzazione passiva degli arti paretici o plegici

secondo tutto il range di movimento delle articolazioni per almeno 3-4 volte al giorno. Uno studio osservazionale ha documentato che la precocità della mobilizzazione e dell’addestramento del paziente rappresenta il fattore maggiormente correlato con il ritorno a casa entro sei settimane dall’ictus;

Utilizzo di presidi antidecubito

mantenimento dell’igiene e cambiamento della posizione con intervallo variabile da 1 a 4 ore secondo i fattori di rischio per lesioni da decubito. La prevenzione delle lesioni da decubito è realizzata attraverso il raggiungimento di due distinti obiettivi da perseguire congiuntamente:

– la protezione della cute

– la riduzione della pressione delle sedi di appoggio

L’intensità di tali interventi è condizionata dalla presenza di fattori di rischio per la comparsa di lesioni definiti sulla base della Scala di Norton o di altre scale analoghe (basate su parametri quali lo stato generale, la mobilità/continenza e la compromissione della coscienza).

La protezione della cute è basata sull’igiene, sulla idratazione della superficie cutanea e sul mantenimento del trofismo. In tal senso la pulizia attenta, soprattutto in sede perineale e sacrale, l’uso di creme in grado di proteggere la cute ed il frizionamento dolce delle zone sottoposte a pressione, sono considerate attività efficaci.

La riduzione della pressione sulle sedi di appoggio è realizzata con sistemi attivi che distribuiscono il peso corporeo su di un’area più vasta (indumenti in lana di pecora, basi di appoggio in lana di pecora o poliestere, imbottiture in gel e sistemi “attivi” che modificano il punto di appoggio, alternando l’immissione e l’emissione dell’aria od utilizzando sistemi di rotazione del letto o letti ad acqua). Anche se i sistemi attivi sono ritenuti più efficaci, e più costosi, dei sistemi passivi, la strategia di intervento non può essere basata sull’applicazione indiscriminata di un presidio ma sulla identificazione della migliore condotta, caso per caso, in relazione al rischio di decubiti. È opinione comune che la disponibilità di uno staff infermieristico, numericamente adeguato e sufficientemente preparato, possa garantire la più valida prevenzione dei decubiti, qualunque sia il presidio tecnico impiegato;

  1. circa un terzo dei soggetti colpiti da ictus sono colpiti da complicanze infettive broncopolmonari, verosimilmente in relazione alla disfunzione ventilatoria. Infatti ripetute osservazioni hanno documentato la compromissione dei parametri funzionali polmonari frequentemente in maniera proporzionale alla gravità del deficit motorio.  Accanto all’accurata valutazione clinica, alla terapia antibiotica, associata eventualmente al trattamento con liquidi ed ossigeno, è necessario provvedere ad un’attivazione dei muscoli respiratori ed all’igiene tracheo-bronchiale. L’incentivazione della ventilazione autonoma, con posizionamento adeguato a favorire l’espansione di tutti i settori polmonari, appare in grado di ostacolare l’iperventilazione basale. La valutazione del riflesso della tosse e del meccanismo di deglutizione può contribuire a quantificare il rischio di polmonite. Nei soggetti con coscienza compromessa, l’acquisizione di posizioni che favoriscano il drenaggio bronchiale e l’eventuale attuazione di manovre che favoriscano l’espulsione delle secrezioni bronchiali possono evitare condizioni predisponenti l’infezione polmonare o l’ipossia.

Prevenzione delle trombosi venose profonde

Accanto al trattamento farmacologico, è opportuno mobilizzare attivamente l’arto inferiore sano e mobilizzare passivamente l’arto paretico. A ciò si aggiunge l’utilizzo di calze elastiche o pneumatiche e l’acquisizione di posizioni che favoriscano il deflusso venoso dall’arto inferiore plegico. Prescindendo dall’intervento farmacologico, gli interventi preventivi della trombosi venosa profonda sono basati spesso su pratiche non documentate da adeguate prove di efficacia. La mobilizzazione precoce del paziente e quella selettiva degli arti colpiti appaiono utili per diversi scopi oltre a quello di evitare la stasi ematica a livello dell’arto inferiore colpito e non sono disponibili indagini selettive sull’efficacia della sola mobilizzazione precoce nella prevenzione della trombosi venosa profonda. L’uso di calze a tutta lunghezza a compressione graduata ha mostrato indubbi vantaggi nella sindrome da immobilizzazione secondaria ad intervento chirurgico e quindi può essere ragionevolmente trasferito ai soggetti immobili in seguito ad ictus. Occorre comunque sottolineare che i gambaletti potrebbero non essere analogamente efficaci, e che, in caso di arteriopatia periferica e neuropatia diabetica, la compressione esterna può provocare lesioni ischemiche. Sull’impiego di strumenti di compressione pneumatica esterna e sull’uso della stimolazione elettrica dei muscoli paretici, al fine di utilizzare la contrazione muscolare per spingere il sangue che refluisce dagli arti inferiori, non si hanno ancora dimostrazioni sicure di efficacia. L’incoraggiamento del paziente a partecipare attivamente al programma di posizionamento e di mobilizzazione è basato sul coinvolgimento nella assunzione di posizioni utili alla prevenzione della stasi polmonare e della stasi venosa dell’arto inferiore plegico.

ictus

Le altre misure riabilitative

Tra le altre misure riabilitative post ictus segnaliamo l’impegno degli arti paretici in qualche attività bimanuale, utile al fine di evitare il fenomeno del “non uso appreso”; facilitazione dell’esplorazione dello spazio percepito in caso di emianopsia o di disturbo dell’orientamento spaziale dell’attenzione, evitando posizioni del letto che lascino poco spazio all’esplorazione visiva; impegno nella memorizzazione del programma di attività giornaliere, per favorire l’orientamento temporale ed il mantenimento del ritmo sonno-veglia. La promozione dei contatti interpersonali è cruciale per prevenire l’isolamento del paziente e le conseguenze emotive e comportamentali che ne conseguono. Inoltre l’informazione e l’educazione dei familiari a riguardo del loro possibile contributo al miglioramento dell’assistenza al soggetto malato appare cruciale per ottenere un’adeguata collaborazione e potenziare l’attività fornita dagli operatori professionali. L’informazione offerta tramite opuscoli predisposti a pazienti e caregiver ha fornito, in uno studio clinico randomizzato, vantaggi in termini di qualità percepita, riguardanti lo stato mentale dei caregiver che ricevevano le informazioni, senza ricadute significative sull’esito clinico dell’ictus o sulla qualità di vita dei pazienti.

La facilitazione dell’acquisizione della posizione seduta nei soggetti senza compromissione dello stato di coscienza è consigliata da alcune linee guida a partire dal secondo-terzo giorno, a meno di condizioni cardiocircolatorie che rappresentino una controindicazione assoluta all’avvio del programma di recupero della postura. In considerazione del fatto che molte complicanze sono correlate all’immobilizzazione, il trattamento precoce viene ritenuto necessario. In effetti nella revisione sistematica di Langhorne e Pollock (2002), la mobilizzazione precoce, inclusa la verticalizzazione, risulta caratterizzare l’attività di molte stroke unit.

  1. La prevenzione delle cadute può essere realizzata attraverso molteplici azioni:
  2. verifica del sistema di chiamata degli infermieri;
  3. controllo ad intervalli regolari dei servizi igienici;
  4. verifica frequente delle condizioni del paziente, controllando ed eliminando le sorgenti di dolore o le cause di agitazione;
  5. supervisione dei trasferimenti dal letto alla sedia o dal letto al bagno;
  6. istruzione del paziente e della famiglia.

I soli sistemi di contenimento (sbarre nel letto, fasce trasversali, ecc.) possono non essere efficaci ed incrementare l’agitazione nei soggetti confusi.

Fonte. Stroke Prevention and educational Awareness Diffusion

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